Oggi voglio parlarvi di un argomento molto interessante che vi sarà utile per la vostra riprogrammazione mentale: l’Effetto Pigmalione.
L’Effetto Pigmalione è un classico della Psicologia Sociale, la sua comprensione ci aiuta a comprendere meglio come si formano i limiti mentali nei ragazzi.
Ci è utile per individuare l’origine di eventuali programmi che abbiamo installato nella nostra mente.
Quello che leggerete adesso è un piccolo estratto del mio libro Gruppi e Dinamiche di Gruppo: Il Contatto nell’ Intergruppo e il Pregiudizio.
Effetto Pigmalione
Uno studio condotto dall’ università di Oldenburg, ha stabilito che di fronte a un nome non tradizionale scatta un pregiudizio (Taino, 2009).
Un gruppo di ricercatori guidato dalla professoressa Astrid Kaiser ha inviato a duemila insegnanti della Grundschule tedesca (scuola elementare) un questionario anonimo con domande molto dirette circa le reazioni, personali e didattiche, che provocano in loro diversi nomi.
Il risultato è uno snobismo imbarazzante.
I tradizionali Jakob, Lucas, Simon, Maximilian, Alexander, Hannah, Sophie, Charlotte, Marie sono collegati dalla grande maggioranza degli interpellati alla figura del bravo studente, disciplinato e impegnato.
È come se i Giovanni, gli Andrea, i Luca, le Giulia meritassero un voto buono a scatola chiusa.
Nomi meno frequenti, e spesso scelti in omaggio a celebrità internazionali, suscitano invece in più della metà degli insegnanti un immediato giudizio negativo: Kevin pare che per loro sia il peggio, ma anche Angelina, Chantal, Mandy, Maurice, Justin rischiano di essere bocciati prima di cominciare.
Il pregiudizio è preoccupante.
Ma la ricerca tedesca tocca un punto delicato: dal momento che è più probabile che a dare ai figli nomi ispirati a divi della televisione e del cinema siano le famiglie meno istruite e forse meno abbienti, è chiaro che la discriminazione diventa sociale.
Soprattutto, però, l’ atteggiamento pregiudizialmente negativo degli insegnanti pesa sul rendimento degli studenti.
La professoressa Kaiser sostiene che l’ aspettativa sia la madre di tutti i risultati.
E’ stato dimostrato che se un allenatore non crede nelle potenzialità di un atleta questo non rende quanto potrebbe, così come a scuola, se gli insegnanti non credono nel potenziale dei loro alunni il rendimento di questi diminuirà.
In particolare nella scuola primaria, dove l’ incoraggiamento è importante e soprattutto nel caso di studenti provenienti da famiglie di immigrati o molto povere che avrebbero bisogno di fiducia e invece incontrano un pregiudizio e un handicap di partenza.
Il rischio che i Kevin e le Angelina si trascinino per sempre qualche ferita provocata dal pregiudizio è insomma alto.
Il problema non è solo tedesco. Studi simili negli Stati Uniti hanno dato risultati comparabili.
E lo snobismo in fatto di nomi è una realtà in tutte le società a forte immigrazione e molto influenzate dai modelli mediatici: la scuola dovrebbe però non esserne vittima.
Gli psicologi hanno scoperto che la gente viene trattata dagli altri come si aspetta di essere trattata.
In altre parole, chi si aspetta di venire imbrogliato viene spesso truffato, chi vive nel timore di essere abbandonato, viene spesso lasciato, chi si aspetta di essere tradito trova partner infedeli.
Gli psicologi hanno denominato questa correlazione, effetto “Pigmalione”.
L’effetto Pigmalione può manifestarsi nell’ ambito scolastico, quello lavorativo, nel rapporto fra capi e dipendenti oppure in quello familiare, nelle relazioni fra genitori e figli e in tutti quei contesti dove si sviluppino rapporti sociali.
Quindi le aspettative possono condizionare la qualità delle relazioni interpersonali e il rendimento dei soggetti.
Pigmalione, nel mito narrato da Ovidio, era uno scultore, solo, senza compagna, perciò con tanta voglia di amare, e il suo desiderio esplose un giorno quando terminò una statua di donna per la quale aveva lavorato a lungo.
Al punto che pregò intensamente Venere di fargli incontrare una ragazza bella come la sua statua.
Venere, mossa a compassione, attuò il miracolo, e Pigmalione la sera, tornato a casa, vide la statua animarsi.
In una scuola elementare della California l’ equipe guidata dal ricercatore americano Robert Rosenthal ideò un esperimento nell’ambito della psicologia sociale, sottoponendo un gruppo di alunni ad un test di intelligenza (Rosenthal & Jacobson, 1992).
Successivamente selezionò, in modo casuale e senza rispettare l’ esito e la graduatoria del test, un numero ristretto di bambini e informò gli insegnanti che si trattava di alunni molto intelligenti.
Rosenthal, dopo un anno, ripassò nella scuola, e verificò che i suoi selezionati, seppur scelti casualmente, avevano confermato in pieno le sue previsioni migliorando notevolmente il proprio rendimento scolastico fino a divenire i migliori della classe.
Questo effetto, in questo caso benefico, si avverò grazie all’ influenza positiva degli insegnanti che riuscirono a stimolare negli alunni segnalati da Rosenthal una viva passione e un forte interesse per gli studi.
L’ atteggiamento aperto e stimolante delle insegnanti aveva contribuito a sviluppare nei bambini doti e capacità che erano rimaste fino a quel momento in ombra.
Una ricerca successiva condotta su questo effetto Pigmalione a scuola ha dimostrato che esso è dovuto al diverso modo in cui gli insegnanti trattano gli alunni dai quali si aspettano i risultati migliori: hanno nei loro confronti un comportamento più affettuoso, lasciano loro più tempo per rispondere a domande difficili, assegnano loro compiti più impegnativi, notano e rinforzano più spesso le attività intraprese autonomamente da questi ragazzi (Rosenthal, 1994).
In definitiva, gli insegnanti creano per questi allievi, in modo consapevole o inconsapevole, un ambiente che favorisce un migliore apprendimento, ovvero un ambiente in cui le loro aspettative riguardo al profitto degli allievi finiscono per diventare profezie che si autoavverano (Cooper & Good, 1983).
Come detto prima, purtroppo l’ Effetto Alone e l’ Effetto Pigmalione, due fattori di natura simile, possono compromettere l’ affidabilità del giudizio di un docente sul profitto di un allievo.
Voglio raccontarvi un aneddoto dei tempi del liceo.
Le mie prime due interrogazioni di filosofia non andarono bene, ricordo ancora i voti; entrambe 5+.
Lezione dopo lezione rimasi affascinato dalla materia e incominciai a studiare seriamente, era diventata una delle mie materie preferite.
Nonostante la mia passione verso la filosofia il mio voto nei 3 anni, non superò mai il 6- tranne nelle ultime due interrogazioni dell’ ultimo anno, un 6+ e un 6,5.
Ricordo ancora molto bene gli scandali di alcune interrogazioni.
Alcune compagne di classe nonostante una preparazione nettamente insufficiente riuscivano ad arrivare tranquillamente al 7, godevano dell’ alone delle interrogazioni precedenti.
Ritorniamo alla mia ultima interrogazione, il 6,5.
Fui interrogato insieme ad una mia compagna che aveva sempre preso tra il 7 e l’ 8.
Nonostante avessi fatto nettamente meglio, lei prese 7.
La cosa “divertente” è che io fui elogiato per i miei progressi nella materia mentre alla mia compagna la professoressa disse che non aveva fatto molto bene come al solito, fu quasi redarguita.
Spesso quando un alunno va male e si giustifica ritenendosi un perseguitato dagli insegnanti, è solo uno studente poco diligente che non accetta le sue responsabilità.
A volte però può succedere il contrario: soprattutto nella scuola materna od elementare, le simpatie a priori dei professori contano più dei comportamenti oggettivi del ragazzo nel determinare il voto di condotta.
Questo è il messaggio di uno studio della Manchester Metropolitan University, pubblicata e finanziata da “Economic & Social Research Council”.
I ricercatori britannici hanno lavorato con alcuni studenti di 4-5 anni, facendo particolare attenzione al loro comportamento ed ai criteri di valutazione del corpo docenti.
Si è così scoperto come sono cruciali le prime 4 settimane di scuola: in quel periodo, il professore si formerà un giudizio che difficilmente cambierà, anche di fronte a prove evidenti (MacLure, Jones, Holmes e MacRae, 2008).
Inoltre, tale giudizio dogmatico si trasmetterà anche ai suoi colleghi.
Immaginate di lavorare per due datori di lavoro diversi: il datore di lavoro A e B.
Il datore di lavoro A ha avuto delle esperienze negative con i suoi precedenti impiegati, di conseguenza, vuole stare attento a non farsi raggirare di nuovo.
È convinto di non potersi aspettare più di tanto, pensa che i giovani siano tutti degli inetti, senza voglia di lavorare.
Di fatto non si fida abbastanza di voi per darvi qualche mansione interessante, vi rifila soltanto compiti poco qualificanti.
Terrorizzato dal fatto che possiate battere la fiacca in ufficio, vi sorveglia in continuazione, senza darvi il minimo spazio di autonomia personale.
In più, non ha stima di voi e non perde occasione per farvelo capire, rimproverandovi per piccolezze.
Dopo qualche mese di questo trattamento, con quale stato d’ animo andreste in ufficio al mattino?
Probabilmente comincereste a sentirvi demotivati, a perdere qualsiasi interesse verso il vostro lavoro e a comportarvi di conseguenza, trasformandovi in un impiegato pigro e poco brillante. Quindi, nel giro di qualche mese, le fosche previsioni del datore di lavoro A sarebbero confermate.
Il datore di lavoro B, è per sua natura un ottimista.
Si aspetta molto da voi, ma non vi chiede l’ impossibile, sa che farete degli errori, ma sa questi entrano nel vostro processo di apprendimento.
Vi lascia un ampio margine di autonomia, ma allo stesso tempo è sempre a disposizione per darvi suggerimenti e chiarimenti.
Sa notare i vostri progressi e voi sentite che il vostro lavoro viene riconosciuto e valorizzato anche dal punto di vista economico.
Con quale datore di lavoro lavorereste di più?
Probabilmente, produrreste di più con il secondo, anche se questi non vi controlla in continuazione come faceva il primo capo.
Inoltre, paragonando i due datori di lavoro, capireste come mai uno trovi sempre impiegati che alla fine si rivelano dei grandi lazzaroni, e l’altro trovi, invece, dei bravi impiegati.
Riferimenti Bibliografici
Cooper, H. & Good, T. (1983) Pygmalion grows up: Studies in the expectation communication process. New York: Longman
MacLure, M., Jones, L., Holmes, R. e MacRae, C. (2008) Becoming a problem: how and why children acquire a reputation as ‘naughty’ in the earliest years at school. Economic and Social Research Council
Rosenthal, R. (1994). Interpersonal expectancy effects: A 30-year perspective. Current Directions in Psychological Science, 3, 176-179.
Rosenthal, R. & Jacobson, L. (1992) Pygmalion in the classroom. Expanded edition, New York: Irvington Publishers
Taino, D. (2009) La ricerca tedesca: Gli insegnanti non credono negli alunni e il rendimento diminuisce, Corriere della Sera, 20 settembre 2009
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